I canti tradizionali, spesso improvvisati, riflettono le lotte del passato e la durezza degli usi e costumi
Ogni tappa della vita era segnata da canti tipici, dall’infanzia con le ninnenanne, più tardi con le serenate (omaggi alle giovani).
Altri tipi di espressione orale tradizionale, per la maggior parte scomparsi, avevano la loro importanza:
- i lamenti (composti per un decesso)
- i voceri (imprecazioni eseguite da donne vestite di nero dopo la morte violenta di un parente vittima della vendetta)
- i chjam’e rispondi (una voce chiama, un’altra le risponde)...
Ma la polifonia corsa è ed è sempre stata la ‘paghjella’, canto che riunisce tre tonalità di voci maschili, complementari e complici. Vestiti di nero, i cantanti portano una mano all’orecchio per non essere turbati dalla voce del loro vicino. Così ogni voce segue una linea melodica definita: la prima dà il tono e la base della melodia, la seconda garantisce le basse, la terza, più acuta, improvvisa intorno al tema. E’ il canto più spontaneo.
Da una decina d’anni, le giovani generazioni si sono rimesse a cantare. Il rinnovamento attuale dei canti polifonici è motivato dalla volontà di perpetuare la cultura orale corsa, trasmessa dai tempi più lontani senza i supporti dell’insegnamento.
Dopo Cantà U Populu Corsu, gruppi polifonici come i Muvrini, A Filetta o I Chjami Aghjalesi, fanno rivivere oggi queste forme tradizionali di espressione musicale.
Certi strumenti caduti nell’oblio da anni sono stati riscoperti. E’il caso della cetra o del piffero e certe manifestazioni, quali Festivoce a Pigna, contribuiscono alla valorizzazione di queste tradizioni musicali.
La musica tradizionale corsa comincia ad ‘esportarsi’ sul continente, all’immagine dei Muvrini, ed anche all’estero (duo dei Muvrini con Sting). Petru Guelfucci, per esempio, ha un grande successo nel Quebec.